GIANNI DE TORA |
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1987 Istituto Italiano di Cultura di Vancouver, Canada 14 maggio 14 giugno |
"UNIVERSE OF SIGNS" |
ARTICOLO DI GAETANO GIUFFRE' SU L'ECO D'ITALIA DEL 21 MAGGIO 1987 |
Aperta al Centro italiano la mostra di De Tora IL COLORE PIU' DI TUTTO Vancouver - Alla presenza di un pubblico scelto e qualificato ha avuto luogo nella serata di giovedì scorso presso la Biblioteca del Centro Italiano- opportunamente trasformata in galleria d'arte- la "vernice" della mostra del pittore napoletano Gianni De Tora.Assente il protagonista (che da notizie raccolte sembra sarà in città a fine mese, prima cioè della chiusura della mostra) l'opera di De Tora è stata presentata dal dott. Gerry Visentin, reggente dell'Istituto Italiano di Cultura. L'iniziativa è infatti del locale Istituto; con il patrocinio del Centro culturale italiano di Vancouver, degli Assessorati alla cultura della Regione Campania e della Provincia di Napoli e con la collaborazione del Centro culturale "AComearte" di Napoli. L'allestimento della mostra è stato curato da Anna Belluz. Degli artisti ltalocanadesi locali era presente Alessandra Bitelli. La mostra restera' aperta fino al 14 giugno, tutti i giorni meno sabato, e domenica dalle 9 alle 17. Ripetiamo, presso la Biblioteca del Centro culturale italiano di Vancouver, al 3075 di Slocan Street. E' un'iniziativa che va apprezzata nella sua valida dimensione di aggiornamento di quanto attualmente succede in un settore dell'arte astratta italiana. Gianni De Tora, 46 anni, proviene dall'Accademia di Belle Arti di Napoli, si è formato negli anni sessanta. Ha soggiornato successivamente a Parigi. Dopo l'esperienza figurativa e quella informale, i suoi "interessi operativi sono confluiti verso la formulazione di strutture geometriche che veicolavano immagini rielaborate dell'Imagerie di massa" (sono sue espressioni). Successivamente ha "analizzato il problema della organizzazione dei segni percepiti- deputando la struttura geometrica a campo totale di indagine". Ha fatto parte del MAC (Movimento Arte Concreta): "un momento di grande innovazione culturale specie nel nostro territorio" propendendo successivamente "per la nuova astrazione americana, con cui cercavo di dialogare" (da un'intervista rilasciata a Napoli a Maria Antonietta Picone Petrusa e riportata nel manifesto della mostra). Citiamo ancora: "Il mio attuale modo di operare mi permette di proporre le immagini mediate dalle più svariate tecniche e materiali. Già negli anni settanta mi interessava mettere in discussione la nozione di quadro unitario per cui vennero fuori i supporti frammentati esposti in varie mostre. Oggi nel continuare ad avere, tra l'altro, anche questo interesse, talvolta espongo carte intelate prive di supporto rigido direttamente sulla parete. A proposito di una probabile presenza americana nella ricerca di De Tora, è lo stesso autore che spiega: "Il contesto in cui vivo è ancora troppo intriso della consuetudine ereditaria idealistica per cui si alimenta una visione condizionata al 'colore partenopeo'. Ho sempre avvertito, pertanto, l'esigenza di proporre un'alternativa a tale condizionamento della visione entrando in dialettica con momenti di ricerca artistica internazionale. La Nuova Astrazione americana, mi interessava per la grande possibilità di raffreddare le emozioni. Nel mio lavoro, tuttavia, l'azzeramento non raggiunge mai i livelli di indifferenza estetica degli americani. "Non posso fare a meno del colore, che oggi e' piu' pittorico e non disdegna le relazloni interiori estranee ai minimalisti statunitensi...."."Il mondo è un laboratorio di segni” - Al Centro Italia di Vancouver fino al 15 giugno. |
ARTICOLO DI MARIO FORGIONE SU NAPOLI OGGI DEL 4.6.1987 |
Arte- A Vancouver l'ultima produzione di Gianni De Tora LABORATORIO DI SEGNI - nelle sale dell'Istituto Italiano di Cultura |
REDAZIONALE SU L'ECO D'ITALIA DEL 14.5.1987 |
L'Istituto Italiano di Cultura ci comunica! Gianni De Tora al Centro L'Istituto Italiano di Cultura e l' "ltalian Cultural Centre Society" presentano una mostra di oli e disegni del pittore napoletano Gianni De Tora. Il critico d'arte Carmine Benincasa, nella presentazione di una delle ultime mostre dell'artista, scrive: "Dietro a un mondo di apparizioni mutevoli Gianni De Tora insegue una forma"definitiva" che il tempo, gli eventi, hanno relegato nell'ombra e nell'oblio “.Attraverso l' "esprit de geometrie", il rigorismo spinoziano, i kantiani filtri dell'intelletto, l'artista costruisce un ordine fra le cose, una gerarchia di segni e di colori, una sequenza logica della scansione temporale.....Ma il recupero della geometria non e' mai totale, essa serve solo per fugare le ombre, o meglio gli spettri di una facile figurazione di una disordinata gestualità. In realtà è l'opera a farsi commento puntuale sul processo genetico dell'idea, a rivestire la dimensione lirico- immaginativa. L'opera come alfabeto dell'esperienza, laboratorio segnico quotidiano, strumentazione creativa e di controllo, universo simbolico di percorrenza trascendentale, proiezione ideale, gioco estetico”.La mostra rimarrà aperta al pubblico dal lunedì 18 maggio 1987 al lunedì 15 giugno 1987 presso la Biblioteca del Centro Italiano (3075 Slocan Street, Vancouver). Orario di apertura, 9:00- 17:00, dal lunedì al venerdì. Entrata libera. |
Citazione presente sul manifesto-catalogo della mostra |
“Per l'artista non è affatto difficile dire qualcosa sulla sua produzione, purchè si metta da una prospettiva sbagliata”. / SHOENBERG |
TESTO/INTERVISTA A CURA DI MARIANTONIETTA PICONE PETRUSA A GIANNI DE TORA PRESENTE NEL MANIFESTO-CATALOGO DELLA MOSTRA |
M.A.P.P.: So che i tuoi inizi come studente all' Accademia di belle Arti di Napoli sono stati figurativi e, per breve tempo, informali, quando c'è stata e in che modo si è verificata la svolta verso la ricerca geometrica? G.D.T.: Dopo l'esperienza figurativa e quella informale, in cui già avvertivo l'esigenza di ripartire il campo di indagine che accoglieva segni e tracce in scansioni geometriche, nel periodo 1964-70 i miei interessi operativi sono confluiti verso la formulazione di strutture geometriche che veicolavano immagini rielaborate dall'«Imagerie» di massa. Successivamente (1970-72) ho analizzato il problema della organizzazione dei segni percepiti deputando la struttura geometrica a campo totale di indagine. M.A.P.P.: L'uso ricorrente nella tua ricerca di forme primarie e di colori fondamentali ci porta ai fattori elementari della geometria, per risalire poi a combinazioni e a forme più complesse, spesso organizzate in sequenze; si può parlare a questo proposito di geometrie generative? e tale processo, a tuo avviso, è tutto spiegabile secondo una sequenza logico-matematica da far rientrare nell'ambito delle indagini astratto-concrete? In definitiva, nel tuo modo di concepire la geometria c'è una frattura fra natura e forma o quest'ultima è solo uno stadio più elementare della prima? G.D.T.: In quegli anni perseguivo l'idea di produrre un tipo di opera che non doveva assumere la funzione di rappresentare ma di presentare se stessa. L'uso di forme geometriche elementari e di colori primari mi permettevano di formulare ipotesi progettuali di forme metonimiche che, non rimandavano ad altro che a se stesse, anche se alcuni titoli potevano trarre in inganno. La matematica nelle mie opere è da intendersi come «impiego dei processi del pensiero logico nei confronti della espressione plastica dei ritmi e delle relazioni» (Bill). Ho sempre ritenuto il MAC (Movimento Arte Concreta) un momento di grande innovazione culturale specie nel nostro territorio, tuttavia credo che al momento i miei interessi propendevano per la nuova astrazione americana, con cui cercavo di dialogare. M.A.P.P.: La domanda precedente in realtà mira a decifrare un delicato passaggio che io colgo nella tua produzione - soprattutto questa degli anni ottanta - da una fase analitica e di grande rigore formale ad una fase in qualche modo sintetica, in cui il colore si sensibilizza, la nettezza delle forme geometriche di partenza è volutamente messa in crisi da sfrangiature, compaiono interessi materici e qualche elemento formale non geometrico. Anche le sequenze hanno una diversa valenza, da analitiche rispetto alla forma e al colore, sono diventate narrative, sia pure rispetto agli stessi elementi linguistici della pittura; come stai vivendo questo passaggio e che cosa ti interessa sperimentare in questa fase? G.D.T.: L'artista, nell'operare la sua ricerca, si confronta e dialoga continuamente con l'ambiente culturale di una società in trasformazione. Nel periodo 1980-82 ho avvertito la necessità di riconsiderare le varie esperienze tecniche e linguistiche fatte in 25 anni di ricerca artistica, non escludendo sedimentazioni culturali della nostra memoria collettiva. Per cui l'interesse per le tendenze riduttive ed analitiche sono venute a confrontarsi con momenti di ricerca più dialettica in cui convivono l'elementare e il complesso. Certamente questa fase di ricerca da me viene vissuta con una maggiore tensione creativa e notevole libertà espressiva proiettata verso un nuovo immaginario pittorico. M.A.P.P.: Che ruolo ha la sperimentazione di nuove tecniche e nuovi formati, ad esempio nelle ultime carte intelate? C'è un ricordo anche delle tele libere che i pittori francesi Louis Cane e Viallat usavano negli anni settanta? G.D.T.: Il mio attuale modo di operare mi permette di proporre le immagini mediate dalle più svariate tecniche e materiali. Già negli anni settanta mi interessava mettere in discussione la nozione di quadro unitario per cui vennero fuori i supporti frammentati esposti in varie mostre. Oggi, nel continuare ad avere tra l'altro anche questo interesse, talvolta espongo carte intelate prive di supporto rigido direttamente sulla parete. Non avevo interesse specifico per Cane e Viallat, anche se seguivo con attenzione il loro lavoro. M.A.P.P.: Si avverte inoltre nella tua ricerca una forte presenza delle esperienze americane; a quali autori hai guardato di più? e in che cosa ti senti distante dagli artisti degli USA? G.D.T.: Il contesto in cui vivo è ancora troppo intriso della consuetudine ereditaria idealistica per cui si alimenta una visione condizionata al 'colore partenopeo'. Ho sempre avvertito, pertanto l'esigenza di proporre un'alternativa a tale condizionamento della visione entrando in dialettica con momenti della ricerca artistica internazionale. La Nuova Astrazione americana, come ti dicevo prima, mi interessava per la grande possibilità di raffreddare le emozioni. Nel mio lavoro, tuttavia l'azzeramento non raggiunge mai i livelli di indifferenza estetica degli americani. Non posso fare a meno del colore, che oggi è più pittorico e non disdegna le relazioni interiori estranee ai minimalisti statunitensi. M.A.P.P.: Infine, un'ultima domanda: la presenza da un po' di tempo nei tuoi quadri di simboli segnici attinti alle più svariate aree geografiche e culturali, nonché alle più diverse epoche storiche e preistoriche, che significato ha? Il simbolo ti interessa per i suoi contenuti o come espediente grafico-visivo? C'è un rapporto con le ricerche primitivistiche di tanti giovani americani o anche con quelle di un italiano come Mimmo Paladino, oppure no? G.D.T.: Tra gli altri elementi visivi presenti nelle mie opere attuali vi sono segni-segnali proposti come reperti visivi mentali, concettuali, ludici del proprio vissuto e dell'attuale panorama segnico e della nostra memoria storica collettiva estrapolati dal mondo dei significati per autodefinirsi liberi e decontestualizzati, analizzati secondo un principio eidetico. Non mi pare di avere rapporto di alcun genere con i graffitisti americani, espressione di un fenomeno di mercato e comunque di uno specifico territorio culturale in cui non potrei identificarmi. Stimo molto Mimmo Paladino ma il mio lavoro non credo possa avere dei riferimenti alla sua opera. |
foto di repertorio |
TESTO DI GABRIELE PERRETTA SUL MANIFESTO-CATALOGO DELLA MOSTRA |
Strumento dell'astrazione che ricorre La Storia di Gianni De Tora non appartiene solo agli anni '80. Essa proviene da un' arco di esperienze più vaste che accennano ad alimentarsi continuamente di nuovi significati, nuovi progetti e nuove prospettive. Nel panorama della pittura attuale il suo lavoro si inserisce attraverso una serie di indizi classici che ci lasciano presagire l'organizzazione mentale di una visione contemporanea. Essi sono: colori primari, la ricerca della «quadratura del cerchio», l'utilizzazione di simboli cosmici, le forme elementari del discorso, le iconografie relazionali, i sistemi archetipici, la matematica centrica e immagini razionali sui generis. In sintonia con alcune energie creatrici attuali De Tora esalta il valore della coscienza interiore come conoscenza, dei segni, e dei significati e con un'automatismo che potremmo definire di stile Bergsoniano che contrasta con la forma dell'esperienza ordinaria. Non contrappone l'esperienza simbolico razionale per un fondante positivistico, ma su piani assolutamente diversi ed inconfondibili che sono vicini (per intenderci) al problema del tempo - come attimo, passato e durata - attinge sia dall'interiorità che dall'esteriorità (Bergson). La riprova di ciò sono i suoi ultimi tre percorsi pittorici: 1) «dell'immagine esatta »; 2) quelle del «De pictura e del dialogo» che vanno fino alla mostra «Nuntius» (1985); 3) «i cicli del nero e delle tavole di gesso, le teche della memoria». Ci sono due tipi di segno classico nell'attuale situazione contemporanea, uno è rappresentato dall'artista inglese Stephen Cox, dal fiesolano Luciano Bartolini e dall'americano Robert Kushener, a cui si sono aggiunti i pittori dell'ultima astrazione mistico-lirica italiana e l'altro da Galliani, Salvo e Mainolfi. Gianni De Tora è più vicino alle lunette di Cox. Anzi opera nello stesso periodo, tra il '79 e l'inizio degli anni '80 su forme primarie, confermando ciò con le sue ultime tavolette di cartone e gesso che rappresentano il diario storico dell'artista, nel senso di storia riscritta non ritrovata, che De Tora magicamente definisce: «il giorno in cui dipinsi i colori della storia». Il Primario, il Classico che si esprime attraverso un senso di costruzione e di sintesi produce una sicurezza eccezionale per l'artista, quel fare minutissimo che alberga nella uguaglianza e nella differenza dei segni. Il sempre uguale e sempre dissimile che esprime l'anima delle cose infinitamente più a fondo. Giù di li' dove l'attività conoscitiva raggiunge per altro l'istinto. L'intelligenza promanatrice strumento dell'astrazione che ricorre da forza ad una bipolarità del versante pittorico. Da un lato la materia e l'impressione dell'impasto molle e denso, dall'altra il bisogno dell'autocontrollo, che comunque non si rifanno ad uno scopo riformativo del procedere per costruzione e finezza nè a prestazioni di struttura dalla «banda serrata» e compatta, ma ad una motivazione che fuori dalla realtà può essere tutta calata nell'iconografia del reperto. I colori tenui, le sicurezze geometriche dirigono il nero a condurre un tracciato semplice, un limite fra tela e cornice, che non aspira a tumultuose vicende perché non chiede nulla al mondo circostante, nè ha intenzione di sentenziarlo, ma solo di catturarlo nel suo fondo primario dove la suadente e colorata felicità del linguaggio è sempre effigiata e sorvegliata. |
Manifesto della mostra |
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